Storia di Barumini

Panorama di Barumini
Panorama di Barumini

Questa zona nell’era Miocenica (da 26 a 7 milioni di anni fa), era un unico espandimento basaltico che univa il Monte Arci ad altri rilievi. Ma nel corso dei millenni, l’erosione dei corsi d’acqua, ha formato delle ampie vallate e nella successiva era Pliocenica (da 7 a 1 milione di anni fa), le manifestazioni vulcaniche hanno modellato i tipici altipiani chiamati Giare che raggiungono anche i 662 metri come appunto la Giara di Serri.
La storia del nostro paese, ci fa supporre che fu abitato fin dal Neolitico, in epoca punica, nuragica e romana (dal 6000 a.C. al 3° secolo d.C.), come testimoniano i siti archeologici in cui è stata ritrovata la cultura materiale di queste epoche. Dall’epoca Neolitica all’età nuragica sono, infatti, 31 i luoghi abitati più o meno estesi; mentre sono 5 i resti dell’età punica e 35 mostrano i segni della presenza romana-altomedioevale.
Circa tremila e cinquecento anni fa esisteva un nuraghe denominato Nuraxi ‘e Cresia con un piccolo gruppo di capanne intorno. Ed è la stessa collina dove nella prima metà del ‘500 fu edificata Sa Cresia Manna (la Parrocchia), e all’inizio del ‘600 Su Palazzu de su Marchesu (il Palazzo Zapata). La densità abitativa del territorio di Barumini, probabilmente era favorita dalla presenza di rius, mitzas (fonti, torrentelli e sorgenti) d’acqua dura, ma per i popoli di allora potabile. Prima fra tutto il Riu Mannu, Murera, Mitza Pòddini, Pizzirillu, e altre ancora, che nelle stagioni piovose andavano ad ingrossare il Riu Pidòngia adiacente al primo aggregato nuragico. Questo territorio, però, fu scelto anche per la presenza di terreni adatti alle colture cerealicole e al pascolo brado, che erano le forme di economia tradizionale fin dalla antichità.
Numerosi sono i ritrovamenti di frammenti di ossidiana appartenenti all’era Neolitica. L’ossidiana era appunto l’oro nero di quell’epoca, estratta dalle cave del Monte Arci (oggi un vulcano spento) ricco di questo minerale, per fabbricare armi, coltelli e utensili, che oltre all’utilizzo del proprio fabbisogno, erano esportati fino alla Francia meridionale. Le ossidiane sono rocce magmatiche effusive, di colore lucido ed evidentissima frattura concoide a bordi taglienti.

Case campidanesi
Case campidanesi

Nei pressi della chiesetta campestre di Santu Luxori è stata rinvenuta una tomba, riferibile alla Cultura di Monte Claro (2400 – 1800 a.C.). In una stanzetta rettangolare lastricata, la sepoltura è coperta da un solaio di lastre di marna calcarea, e su un lato, vi è un portello con architrave e un chiusino quadrangolare. Dall’età del Bronzo antico a quello del Ferro (1800 – VI secolo a.C.) è il maggior numero di ritrovamenti archeologici riferibili alla civiltà nuragica presente nel territorio. Sono, infatti, 27 i nuraghi di forma semplice o complessa, in pietra basaltica o in marna calcarea, dei quali molti allineati sul costone della Giara, altri dominano le colline o si affacciano sulle valli fluviali. Per molto tempo gli studiosi faticarono a capire cosa furono queste grandi costruzioni di pietre sovrapposte senza alcun legamento, avanzando tre ipotesi: che fossero templi, fortezze o tombe. Solo in un secondo tempo capirono che i nuraghi erano abitazioni fortificate, circondate in alcuni casi da villaggi composti di capanne circolari con base e muri in pietra, tetto di frasche e un’apertura come ingresso. Tra i più noti sono Su Nuraxi, e poi Marfudi, Massetti, Pranu Amis, Calafrau, Sighillanu, situati ai piedi della Giara; Nuraxi ‘e Cresia costruito sotto il Palazzo baronale Zapata; San Nicola, Santa Vittoria e Palla ‘e sa furca situati sulle colline circostanti. Mentre i nuraghi Bruncu sa Giustizia, Urru, Bruncu Cuaddus, Perdedu, si affacciano alla valle fluviale del Riu Mannu, oltre il quale si trovano i nuraghi Ziu Cristianu, Surdelli, Casu Eroni e Riu Colori. Il 29 marzo del 1410, con la capitolazione del giudice d’Arborea, Barumini e le altre “ville” dell’esteso giudicato, passa al Marchesato di Oristano che dura sino al 1479, quando la Corona spagnola con il re Ferdinando il Cattolico, entra in possesso dell’intera Isola. Circa sessantanni prima, cioè il 31 agosto 1420, Barumini era diventata capitale del feudo che comprendeva anche Lasplassas e Villanovafranca, per concessione del Re d’Aragona Alfonso V a Guglielmo Raimondo di Montecatena. Il figlio Lorenzo, alla morte del padre vendette la Baronia a Pietro Besuldone, che morì senza eredi e tornò al regio patrimonio, che la concesse nel 1537 a Pietro di Roccaberti per un credito che aveva col regio patrimonio. Il 6 maggio del 1541 gli eredi di Pietro Roccaberti, col beneplacito, l’assenso e il consenso del re spagnolo Carlo V, con un contratto stipulato a Barcellona, vende la Baronia con le ville di Barumini, Lasplassas e Villanovafranca a don Azor Zapata, preside, ossia alcaide presente del Castello e della città di Cagliari; famiglia spagnola appartenente ai Reali d’Aragona. Il pagamento fu di settemila lire barcellonesi, che andarono alla vedova dona Ana, e ai figli Francesco e Stefania di don Pietro. Azor Zapata ottiene l’investitura del feudo il 4 gennaio 1564 col giuramento e l’omaggio di naturalità e fedeltà al re Filippo II, nanti il Luogotenente generale in Sardegna don Alessio Nin. Dalla fine del XVI secolo in poi, cominciano alcuni episodi edilizi di urbanismo del paese. L’abitato si estendeva maggiormente nella zona di S’Anziana a nord, formando una pianta grosso modo angolare sino alla piazza Sa Gruxi (Santa Croce) a sud. Il torrente Riu Pidòngia (incanalato e coperto nella bonifica realizzata nel 1925 che costò allora due milioni e mezzo) divideva il paese in due, in cui si articolavano diversi bixinaus (vicinati): Pillosa, Mazziottu, Sa Gruxi, Santu Nigola etc. All’interno piccoli spazi d’incontro, pozzi pubblici per il tantissimo bestiame presente, e servizi vari collettivi.

Su Nuraxi
Su Nuraxi

Il primo nucleo, quello storico, stava tra la chiesa duecentesca di San Giovanni, quella cinquecentesca di Santa Lucia, della Parrocchia e il Palazzo dei Marchesi Zapata. In periferia del centro abitato, stava la principale strada esterna Sa bia ‘e Casteddu, che arrivava da sud lungo la valle del Rio Mannu da Lasplassas, fiancheggiava la chiesa di San Nicola, e si divaricava a Santa Chiara in direzione nord: verso Gesturi per Mitza Lèpuris e verso Isili passando vicino all’importante complesso chiesastico di San Lussorio e proseguendo il cammino verso gli orti di Gesturi.
All’ingresso di Barumini provenendo da Las Plassas lungo Sa bia ‘e Casteddu (la strada per Cagliari), poco distante dalla croce stradale Sa Gruxi, iniziava il tratto di strada per Mandas, che serviva il Convento con chiesa di SS. Trinità, superando il Rio Mannu in località Ponti, nome derivato dal ponte spagnolo, ma probabilmente più antico. All’interno dell’abitato, era il tipico paese medioevale, con strade strette strintus a incrocio, che costeggiavano le modestissime case di abitazione con contorni prevalentemente curvilinei. Case tarde cinquecentesche e seicentesche in numero maggiore, riconoscibili per lo stile ancora tardogotico popolaresco, delle porte, finestre, supporti litici e coperture lignee dei loggiati, situate nel centro storico, ma anche oltre il torrente in zona S’Anziana.Con regio decreto n. 18 del 5 gennaio 1928 a Barumini fu aggregato il soppresso Comune di Las Plassas, che divenne nuovamente autonomo con decreto legge n. 497 del 22 novembre 1946. Come si nota, tante costruzioni vicine tra loro, sta ad indicare che gli edifici nuragici controllavano il territorio e l’economia rurale che si basava sui prodotti della terra e dei pascoli. La maggior parte dei nuraghi sono molto rovinati dal tempo e dalle intemperie, e di loro rimangono solo tratti di fondamenta murarie. Il più famoso e conosciuto è senza dubbio la struttura del complesso Su Nuraxi, il più esteso in tutta la Sardegna. Ma anche i nuraghi tipici monotorri di Marfudi e Surdelli. Marfudi è costruito con grosse pietre di basalto poligonali e tondeggianti, disposte all’esterno e all’interno in cinque filari, contiene una camera circolare che in origine era coperta da una specie di volta, e ai lati della camera vi sono delle nicchie di pietra che fungono da giaciglio. Nel nuraghe Marfudi, sono stati rinvenuti due strati archeologici sovrapposti: un superiore di epoca romana e uno sottostante dell’età del Bronzo e cioè nuragica. Questo vuole dimostrare come le popolazioni romaniche, abbiano sfruttato e riadattato alle loro esigenze le costruzioni in pietra, aggiungendo poi altre nuove costruzioni nelle immediate vicinanze degli stessi nuraghi. Sono stati ritrovati materiali litici e ceramici nello strato nuragico del Marfudi, mentre sono stati attribuiti al periodo romano i rottami di terracotta, pezzi di embrici e i resti di un’anfora cilindrica. Tracce di tombe di età nuragica non sono mai state ritrovate, tranne la probabile presenza di alcune tombe dei giganti nelle vicinanze de Su Nuraxi, nonostante l’elevato numero dei luoghi di vita. Si suppone che altre simili sepolture siano state abbattute nell’andare del tempo.Rispetto alle tracce preistoriche, sono pochissime le tracce della civiltà Cartaginese che fanno risalire al IV secolo a.C., trovate a Su Nuraxi, Pranu Guventu, Is Bangius e Bramacusa. Mentre sono venute alla luce testimonianze dell’epoca romana in ben 37 località sparse un po dappertutto: Marfudi, Su Nuraxi, Santa Vittoria, Bruncu sa Giustizia, Nuraxi Urru, S’Anziana, Riu Largii, Pardu Erreu, Santu Luxori, Bangius ect. Essendo la zona della Marmilla un “granaio” dei romani, questi privilegiavano le zone collinari, ma abitavano anche in zone basse e paludose, che bonificavano dall’acqua ristagnante rendendole fertili, per destinare poi alla coltivazione del frumento, che il dominio romano esigeva dalla ricca zona della Marmilla. Nel IX secolo, parte degli abitanti di Valenza si sarebbero trasferiti a Barumini, dove avrebbero fondato una loro chiesa, anche se non si hanno elementi di fondatezza. Nel XII secolo i frati tornitori posero un eremo presso la chiesa della SS. Trinità in località Ponti, e l’abbandonarono nel secolo successivo.
Nel secolo XI al sorgere dei giudicati, Barumini appartenne al Giudicato di Arborea; stesso periodo in cui fu costruito il castello di Marmilla, poi detto di Lasplassas. La curatoria di appartenenza era e rimane sino ai tempi feudali quella di Marmilla di cui Barumini fu il capoluogo. Nel 1538 figura un “vicariatu de Barumini” (giudice arborense Mariano IV). Rispetto al sistema proprietario dell’organizzazione del territorio, rimane indizio nel toponimo di Pardu ‘e reu (prato del regno) riferito alle terre del fisco, distinte dalle terre del giudice.

Il 29 marzo del 1410, con la capitolazione del giudice d’Arborea, Barumini e le altre “ville” dell’esteso giudicato, passa al Marchesato di Oristano che dura sino al 1479, quando la Corona spagnola con il re Ferdinando il Cattolico, entra in possesso dell’intera Isola. Circa sessantanni prima, cioè il 31 agosto 1420, Barumini era diventata capitale del feudo che comprendeva anche Lasplassas e Villanovafranca, per concessione del Re d’Aragona Alfonso V a Guglielmo Raimondo di Montecatena. Il figlio Lorenzo, alla morte del padre vendette la Baronia a Pietro Besuldone, che morì senza eredi e tornò al regio patrimonio, che la concesse nel 1537 a Pietro di Roccaberti per un credito che aveva col regio patrimonio. Il 6 maggio del 1541 gli eredi di Pietro Roccaberti, col beneplacito, l’assenso e il consenso del re spagnolo Carlo V, con un contratto stipulato a Barcellona, vende la Baronia con le ville di Barumini, Lasplassas e Villanovafranca a don Azor Zapata, preside, ossia alcaide presente del Castello e della città di Cagliari; famiglia spagnola appartenente ai Reali d’Aragona. Il pagamento fu di settemila lire barcellonesi, che andarono alla vedova dona Ana, e ai figli Francesco e Stefania di don Pietro. Azor Zapata ottiene l’investitura del feudo il 4 gennaio 1564 col giuramento e l’omaggio di naturalità e fedeltà al re Filippo II, nanti il Luogotenente generale in Sardegna don Alessio Nin.
Dalla fine del XVI secolo in poi, cominciano alcuni episodi edilizi di urbanismo del paese. L’abitato si estendeva maggiormente nella zona di S’Anziana a nord, formando una pianta grosso modo angolare sino alla piazza Sa Gruxi (Santa Croce) a sud. Il torrente Riu Pidòngia (incanalato e coperto nella bonifica realizzata nel 1925 che costò allora due milioni e mezzo) divideva il paese in due, in cui si articolavano diversi bixinaus (vicinati): Pillosa, Mazziottu, Sa Gruxi, Santu Nigola etc. All’interno piccoli spazi d’incontro, pozzi pubblici per il tantissimo bestiame presente, e servizi vari collettivi. Il primo nucleo, quello storico, stava tra la chiesa duecentesca di San Giovanni, quella cinquecentesca di Santa Lucia, della Parrocchia e il Palazzo dei Marchesi Zapata. In periferia del centro abitato, stava la principale strada esterna Sa bia ‘e Casteddu, che arrivava da sud lungo la valle del Rio Mannu da Lasplassas, fiancheggiava la chiesa di San Nicola, e si divaricava a Santa Chiara in direzione nord: verso Gesturi per Mitza Lèpuris e verso Isili passando vicino all’importante complesso chiesastico di San Lussorio e proseguendo il cammino verso gli orti di Gesturi. All’ingresso di Barumini provenendo da Las Plassas lungo Sa bia ‘e Casteddu (la strada per Cagliari), poco distante dalla croce stradale Sa Gruxi, iniziava il tratto di strada per Mandas, che serviva il Convento con chiesa di SS. Trinità, superando il Rio Mannu in località Ponti, nome derivato dal ponte spagnolo, ma probabilmente più antico. All’interno dell’abitato, era il tipico paese medioevale, con strade strette strintus a incrocio, che costeggiavano le modestissime case di abitazione con contorni prevalentemente curvilinei. Case tarde cinquecentesche e seicentesche in numero maggiore, riconoscibili per lo stile ancora tardogotico popolaresco, delle porte, finestre, supporti litici e coperture lignee dei loggiati, situate nel centro storico, ma anche oltre il torrente in zona S’Anziana.Con regio decreto n. 18 del 5 gennaio 1928 a Barumini fu aggregato il soppresso Comune di Las Plassas, che divenne nuovamente autonomo con decreto legge n. 497 del 22 novembre 1946.